Manifesti arancioni con le scritte viola. Manifesti viola con le scritte arancioni. I cittadini che, in pieno lockdown, quando Lugano era chiusa e deserta, hanno cominciato a trovare anche negli angoli più remoti del loro quartiere queste misteriose “presenze”, non hanno capito subito di cosa si trattasse. Erano frasi che parlavano di emozioni, speranza, frammenti di sogni, riflessioni sulla vita. Erano le “Parole che curano”, offerte dagli artisti alla Città, per rassicurare le persone spaventate dal coronavirus, per dire che le istituzioni c’erano e volevano dialogare con la mente e con il cuore di chi si trovava ad affrontare un’emergenza mai vista. Un progetto interessante e particolare, che si è concluso ufficialmente il 30 giugno, anche se qualche frase arancione o viola è ancora presente lungo le strade e le piazze di Lugano.

«La campagna è partita la prima settimana dopo l’avvio del lockdown – spiega Luigi Di Corato, direttore della Divisione Cultura della Città di Lugano. – Abbiamo chiesto a 45 scrittori, poeti, autori teatrali ticinesi (o comunque attivi in Ticino) e svizzeri di preparare una frase che inducesse alla speranza e all’obiettivo di unità: insomma, a sentimenti positivi verso il futuro e gli altri. Tutti hanno aderito con passione, e molto velocemente. In tre settimane i manifesti erano pronti. Poi ne è servita una quarta per la stampa».

Il progetto “Parole che curano” faceva parte della più ampia campagna istituzionale (“Lugano, la città ti è vicina”) che il Municipio ha avviato in occasione del coronavirus. La Divisione Cultura ha preso contatto con gli scrittori e i poeti, e selezionato le frasi da “diffondere” in tutti i quartieri. La Divisione Comunicazione, invece, ha preparato la raffinatissima grafica. Il LAC, infine, ha contribuito alla ricerca degli autori di teatro.

«La presenza reale su tutto il territorio di queste parole, della letteratura – dice Roberto Badaracco, Capo Dicastero Cultura, sport ed eventi – è risultata fondamentale anche per noi, proprio per avvicinare le persone in un periodo molto difficile com’è stato quello del Covid. Così abbiamo deciso di trovare frasi significative che potessero ridare speranza, nuova voglia di vivere e nuova voglia di approcciarsi al futuro con un nuovo spirito».

Quando è cominciato il lockdown, Lugano, come tutte le altre località ticinesi, era tappezzata dai manifesti che preannunciavano decine di eventi diversi (concerti, rassegne, mostre, feste), in realtà bloccati e sospesi a tempo indeterminato dal virus. Era uno scenario triste, da “day after” come si diceva ai tempi della guerra fredda (il giorno dopo una guerra nucleare…), e andava cambiato. «L’idea-obiettivo era quella di “apparecchiare” la città, perché fosse imbandita per i cittadini bloccati – aggiunge Di Corato. – Volevamo offrire un po’ di conforto, ma anche creare una sorta di mostra a cielo aperto, visto che le gallerie e i musei “classici” erano chiusi: una mostra non di segni e di forme, come nelle arti visive, ma solo di parole, di immagini poetiche. Insomma, abbiamo puntato tutto sulla potenza raffigurativa della parola, sul suo potere maieutico».

Dopo qualche perplessità iniziale, i cittadini hanno reagito in modo molto favorevole. «Sì, abbiamo avuto testimonianze straordinariamente positive – conferma Di Corato. – Molte persone ci hanno anche scritto per ringraziarci o per chiedere una mappa dei manifesti, perché avevano paura di non riuscire a leggere tutte le frasi… È stato veramente bello per noi: il progetto era stato pensato per le persone, e dalle persone sono arrivati i riscontri».

Ma davvero le parole hanno un potere così grande, anche in un periodo, come il nostro, dominato dai social media e dall’abuso, spesso, di post e di messaggi? «Tutto nasce sempre dalle parole – risponde Fabiano Alborghetti, poeta, scrittore, vincitore del Premio svizzero di letteratura nel 2018. – Fin dai tempi più antichi la poesia esprime la storia dell’uomo. E le parole in forma di poesia continuano a mantenere un alto valore e una grande forza, grazie al loro potere evocativo: aiutano le persone a ritrovare la verità in se stesse, ad ascoltarsi. Generano un confronto fra la sensibilità di chi ha scritto e quella di chi legge. Così, sfogliando le pagine di un romanzo, o “incontrando” su un manifesto per strada una poesia, il lettore trova una somiglianza; e anche chi è più fragile può dire: “Non sono solo”».
Alborghetti ha scelto, per il progetto “Parole che curano”, una frase dedicata alla speranza: “La speranza, ho imparato,/ canta sempre sottovoce./ Ha un canto basso, in controluce./ Sembianze nitide e tenaci/ e guarda bene: non somiglia a tutti noi?” È un invito ad andare avanti, a spingersi verso il domani, uscendo dall’orizzonte dell’emergenza, grazie alla forza interiore che ognuno di noi possiede, anche se in modo latente. «Viviamo nel sistema sociale più connesso della storia – aggiunge Alborghetti – ma che genera, in realtà, una grande lontananza fra le persone e dà un valore eccessivo all’aspetto visuale, alle immagini, distruggendo il pensiero astratto. Dobbiamo recuperare questa forma di pensiero, ricostruirla, a tutti i costi: se ci fermiamo solo a quello che vediamo e non riusciamo a immaginarci, non avremo un futuro, e nemmeno un’alternativa. E qui torniamo alle parole che curano, e al loro potere».

Per i manifesti arancioni e viola lo scrittore Andrea Fazioli ha scelto, invece, una frase sul valore della casa, tratta dal suo ultimo libro di racconti, “Il commissario e la badante”, appena pubblicato dall’editore Guanda: “Casa non è famiglia, non basta la famiglia, casa non è solo rifugio, sicurezza o figli da crescere. È un luogo ideale a cui appartenere; un territorio vasto, dove ci si può perdere, ma nel quale riconoscere i punti di riferimento dell’amicizia, della condivisione, della tenerezza”. Le parole hanno un grande potere, però devono mantenere il loro tono leggero, suggerisce Fazioli, per arrivare al cuore di tutti. «All’eccesso di parole social-mediatiche – spiega – dobbiamo contrapporre parole cercate con cura: parole che mirino ad andare in profondità, e non a estendersi in modo indefinito. Gli esseri umani hanno bisogno di racconti, altrimenti restano ancorati a un “oggi-qui”, ai bisogni primitivi, e solo a quelli».
Ma le brevi frasi pubblicate sui manifesti della Città di Lugano sono riuscite davvero a curare le persone? «Sì – risponde con sicurezza Fazioli – per la legge delle probabilità. Le parole sono state disseminate in numerosi luoghi diversi e la loro interazione, con i passanti, è avvenuta quasi sempre in modo casuale. Si sono verificati, cioè, incontri fra le parole e gli utenti che non si sarebbero mai prodotti. E anche se questi incroci a volte erano “giusti”, altre volte meno (ci sono così tante combinazioni!), il contatto casuale ha fatto sicuramente effetto, perché le parole agiscono nel tempo (non tutte, non sempre, però agiscono). Come movimenti carsici, possono sciogliere ruggini, consolare malinconie».

Articolo a cura di Paolo Rossi Castelli
https://ticinoscienza.ibsafoundation.org/ticino_scienza/il-potere-delle-parole-contro-la-solitudine-e-ansia-da-covid/?fbclid=IwAR1jOrxsOEMa3PQRsFRteVGThOb64nwMfIjF0BjOHc17eQpIY5KEVYtrnJs

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